Arte e artigianato del Cilento nell'antichità

Arte e artigianato del Cilento nell'antichità

apprezzabili soprattutto nelle chiese

Gran parte della produzione artistica popolare era un tempo concentrata nelle chiese, in quanto queste da sempre hanno rappresentato il punto di riferimento della vita religiosa e sociale delle piccole comunità.

Purtroppo gli interventi architettonici realizzati periodicamente soprattutto nel nostro secolo, hanno per lo più spazzato via queste testimonianze, o perché irrimediabilmente deteriorate o perché ritenute "brutte", cioè non più rispondenti ai nuovi canoni estetici o al desiderio di rinnovare gli ambienti.

Così è quasi del tutto scomparsa l'iconografia sacra in argilla grezza e policroma; come pure sono andate distrutte molte statue in malta o gesso policromo e le figure in terracotta o pietra (dette comunemente muócci) poste ad ornamento delle fontane, dei portali o sulle cuspidi dei tetti. Stessa sorte sta toccando agli stemmi gentilizi (in pietra, marmo o legno) che ornano le sommità dei portali specie nei paesi dell'interno; nonché alle croci di pietra, poste al centro delle piazze su una colonna, attorno alle quali si riuniva l'Universitas (es. a Morigerati, a Castel San Lorenzo, ecc;) o erette alle porte del paese o su una roccia per "cristianizzare" un antico luogo di culto pagano (es. Santa Marina). E ben poche sono rimaste anche le antiche edicole poste ai crocicchi delle vie, che sono state le prime ad essere depredate in tempi moderni dagli antiquari: ne sono sopravvissute solo alcune, alquanto recenti (del secolo scorso o degli inizi di questo) che recano dipinte immagini sacre su maioliche (es. Rofrano, Capaccio, Laurino, Piaggine, Vatolla, ecc.), che meriterebbero di essere indagate a parte come le più vive testimonianze della pietà popolare.

Quanto agli affreschi che un tempo coprivano praticamente intere pareti delle chiese, o alle decorazioni a motivi floreali e geometrici delle case gentilizie, essi hanno subito non migliore sorte in quanto negli anni passati, con molta superficialità, sono stati ricoperti di vernice o di intonaco nuovo nel corso delle ristrutturazioni. Oggi con molta oculatezza, nei recenti restauri, se ne cerca a fatica il recupero, scoprendo a volte pitture di notevole valore artistico. Vanno citati anche i piccoli quadri degli ex-voto che numerosissimi si conservano nei santuari e che, al di là del loro valore pittorico, testimoniano la fede ingenua e devota del popolo e il suo rapporto col trascendente.

Una nota particolare è da dedicarsi alle grandi tele dipinte con scene della Passione, usate per ornare gli altari della Deposizione, che si usano ancora realizzare nelle chiese in occasione della settimana Santa: sono andate quasi tutte distrutte e le poche superstiti giacciono ormai abbandonate. Ricordiamo quelle di Pollica, Galdo, Cannicchio.

Di questa arte popolare antica vogliamo qui segnalare alcuni pezzi di notevole interesse che sono miracolosamente sopravvissuti.

Sul M. Pittari, in una delle grotte che, inglobate in una rudimentale struttura muraria, un tempo costituivano il cenobio di S. Michele, oggi ancora possiamo ammirare un'interessantissima testimonianza del culto di questo Santo (è noto che i Longobardi, convertitisi al Cristianesimo, identificarono nell'Arcangelo il loro antico dio Wotan, che essi veneravano in caverne). Alla sinistra dell'altare è collocata una lastra di pietra di circa 90 cm. di altezza sulla quale è scolpito a bassorilievo l'Arcangelo con scudo crociato, armato di lancia con la quale uccide il drago; tutt'intorno, sulla cornice, compaiono dei graffiti, tra i quali ben distinguibile è la spirale che è frequente nella simbologia magica longobarda. Il cenobio era stato fondato per volontà dei principi longobardi di Salerno e dato in possesso al vescovo di Paestum. Nel 1142 il vescovo Giovanni lo cedeva all'abate di Cava, Falcone; all'epoca già vi si celebrava con solennità la festa l'8 di maggio. La civiltà longobarda era penetrata profondamente nella cultura delle popolazioni locali tanto che, nel 1330 un arciprete del luogo, Nicola, ancora viveva "jure Longobardorum".

Considerato, dunque l'ambiente culturale, nonché i simboli che compaiono sul bassorilievo e lo scudo crociato che compare nella figura, possiamo proporne la datazione agli inizi del XII secolo, dopo la prima crociata e prima del possesso benedettino.

Anche a San Mauro Cilento, sopra l'ingresso della Cappella dell'Immacolata, vi è una testimonianza di questo culto: un bassorilievo su una tavoletta di marmo di circa 40 cm. di altezza, raffigura l'Arcangelo rivestito di armatura del Basso Medioevo, con nella sinistra la bilancia della Giustizia divina e nella destra una lancia con la quale colpisce il Diavolo in sembianze femminili, come nella iconografia sacra del XIV e XV secolo, con chiaro riferimento alle streghe, le cui arti erano ritenute frutto della loro simbiosi con Satana.

Interessantissima, per la sua singolarità, è la vera ottogonale da cisterna di Laurino, attigua alla chiesa di S. Pietro, istoriata; nella simbologia dei bassorilievi potrebbe ravvisarsi un linguaggio esoterico di natura teosofica. L'ignoto scultore ha inciso nei riquadri degli otto pannelli un gran numero di simboli, praticamente quelli più correnti della simbologia cristiana nel Medioevo (stelle a sei, sette o otto punte, scala, sole, luna, teschio, tiara, chiavi, spada, ecc.); l'opera è ascrivibile tra il XIII-XIV sec.

A Capizzo, sul timpano della vecchia chiesa parrocchiale (oggi affiancata a quella del XVIII sec.), in una nicchia è inserita una bellissima statuetta in terracotta, purtroppo acefala, che regge il bambino sulla sinistra e mostra i seni scoperti: è la Madonna del Latte o delle Grazie, raffigurata secondo l'iconografia popolare pre-tridentina.

Anche a Sacco, sui muri del campanile della chiesa di S. Silvestro, si possono ammirare tre statue di terracotta (dette dal popolo I Muócci) che raffigurano S. Silvestro, Cristo flagellato e S. Nicola, probabilmente risalenti al XIV sec., ma reinserite nella ristrutturazione del campanile in epoca rinascimentale. Nella stessa struttura esterna della chiesa, sotto un arco detto volgarmente Arrèto Santi (cioè posto dietro il luogo ove sono le statue dei santi), è collocata in una parete una piccola lastra di pietra sulla quale è inciso un crocifisso ("croce espiatoria"), probabilmente di tarda epoca longobarda, ma con ornamenti rinascimentali chiaramente aggiunti. Sempre a Sacco, lungo l'impervia mulattiera che collega il centro abitato odierno con quello antico (detto "Sacco Vecchio", ma in epoca bizantina "Zatalàmpe"), su una roccia sono incisi due simboli fallici, che in epoca cristiana sono stati ritoccati per fare da ornamento ad una nicchia che fino a pochi anni orsono accoglieva una statuetta; ma l'antica funzione magica traspare ancora chiaramente dal bassorilievo.

A Laureana, sulla facciata della cappella dell'Annunziata, nella fascia sotto il timpano, troviamo gli unici esempi di decorazione in terracotta coi simboli di una confraternita, composti a mo' di triglifi e metope, realizzati nel 1895.

Numerose sono anche le testimonianze di iconografia sacra in malta policroma, le cosiddette "Madonne di pietra". L'immagine, ricavata con mattoni legati da malta, modellata e rifinita con gesso e stucco, veniva poi dipinta a colori vivaci; gli occhi erano ottenuti con vetro grezzo. Le figure appaiono rigide e con l'espressione fissa, ma di una bellezza toccante; sono quasi tutte anteriori al XVII secolo. Molte hanno conservato la tipologia greca e possono ricondursi all'iconografia della Madonna Odighitria ("che guida il cammino"): appaiono sedute in trono e recano per lo più il Bambino sulla sinistra, mentre la destra è benedicente e regge un simbolo ieratico legato alla tradizione del luogo.

Queste statue sono inasportabili, ovviamente, per la tecnica di costruzione; ma questo fatto va interpretato anche alla luce di un concetto di storia delle religioni diffuso nei culti antichi: il nume tutelare veniva "fissato" nel luogo della ierofanìa, come a trattenerlo su quella terra che dona la vita. Tutto ciò, a livello inconscio, ancora sopravvive nei racconti popolari relativi a queste "Madonne" che, con la loro apparizione hanno santificato il luogo e lo abitano stabilmente.

Ne ricordiamo alcune: S. Maria Greca a Roccagloriosa, la Madonna di Pietrasanta a San Giovanni a Piro, della Stella a Perdifumo e a Valle Cilento, della Sala a San Mauro Cilento, delle Grazie a Orria, della Neve sul M. Cervati, la Potentissima ad Acquavena, S. Giovanni del Ruchìto a Celso, S. Mauro nella grotta di Capizzo, S. Maria della Sala e S. Pietro a Salento, ecc.

Di notevole interesse appaiono taluni affreschi emersi in seguito a recenti restauri di chiese e che il rinnovato interesse per l'arte popolare ha proposto come beni culturali da tutelare ad ogni costo. Tra i più significativi ricordiamo:

- quelli della cappella di S. Nicola a Capograssi, un tempo monastero; se ne sono salvati soltanto sei, tre dei quali in buono stato di conservazione; risalgono probabilmente al XVI secolo e raffigurano: il martirio di S. Silvestro, la Vergine in trono con S. Benedetto, tre santi benedettini, la Madonna del latte, S. Benedetto e l'Annunziata, la Vergine col bambino. Le linee delle figure a volte molto marcate, denunciano vari interventi posteriori.

- quelli della cripta della chiesa di S. Eufemia a San Mauro La Bruca: solo due sono in buono stato di conservazione; uno copre un'intera parete del primo ambiente e raffigura la presentazione di Gesù al tempio, con ai lati S. Mauro Abate e S. Eufemia; a fianco dell'ingresso, in un pannello, è raffigurata S. Lucia. Nel secondo ambiente, più piccolo, sul muro cui è addossato l'altare, vi è dipinta una crocifissione e sulle due pareti laterali che si piegano a volta, sono raffigurati episodi della vita di S. Eufemia. Questi affreschi, opera di diversi pittori, sono ascrivibili tra il XVI e il XVII secolo.

- quelli rupestri: nella grotta di S. Mauro a Capizzo, di S. Lucia a Magliano Vetere, di S. Iconio e di S. Biagio a Camerota; i primi sono appena leggibili a causa dell'umidità; tutti rivelano un dato importantissimo: testimoniano la frequentazione culturale assidua di questi luoghi lungo i secoli; appaiono eseguiti da diverse mani e in varie epoche; sono per lo più di una semplicità estrema e nello stile richiamano gli ex-voto; quelli più recenti (XVIII-XIX sec.) appaiono eseguiti da mano più provetta.

- quelli di S. Maria delle Grazie a Capograssi, del XVII sec.

- quello della cappella rurale della Madonna dell'Acquasanta, a Laureana (XVII sec.), magnificamente inserito in una struttura di stucchi policromi che troneggia su una composizione iconografica alla maniera antica, rimasta fortunatamente intatta e che un progettato restauro rischia di cancellare.

- quelli del Santuario della Madonna del Granato a Capaccio, messi in luce dal recente restauro, che narrano i miracoli di S. Biagio;

- quelli della chiesa della Potentissima ad Acquavena, nel XIX secolo, che ornano l'abside e fanno da corona alla statua in malta policroma, narrandone i miracoli.

- quelli di artigianato francescano dei conventi di Vatolla, Capaccio, Lustra e Laurino, che sono a cicli, anche se gli interventi posteriori (di solito del XVIII secolo) ne ampliano la tematica.

Nel convento di S. Maria della Pietà a Vatolla, gli affreschi sono concentrati nella chiesa. Abbiamo già narrato come questo convento sorse nel luogo dove venne rinvenuto un antico affresco della Pietà. Questo oggi appare incorniciato ed ornato di corona e cannacca (collana nuziale) secondo l'uso della pietà popolare; appare in discreto stato di conservazione; alcuni interventi posteriori hanno in parte coperto gli elementi naturalistici del fondo, ma hanno risparmiato le belle linee della figura del Cristo morto. Nella stessa cappella si possono ancora intravedere alcuni pannelli della Via Crucis sui muri perimetrali; mentre un pannello laterale è occupato da un altro affresco del tipo devozionale che raffigura la visione di una santa martire e appare di matrice neoclassica.

Nel convento di S. Francesco a Lustra gli affreschi ornano i muri perimetrali del portico e sono ascrivibili alla fine del XVI secolo; narrano la vita e i miracoli di S. Bernardino da Siena che, secondo la tradizione, fondò il convento.

Di estremo interesse appaiono quelli del convento di S. Antonio a Laurino, XVIII-XIX sec., che ornano i muri perimetrali del chiostro e le volte dei corridoi; ma sono in completo abbandono. Essi narrano la vita e i miracoli di S. Antonio di Padova; ciascuna scena è commentata da una didascalia. Altri affreschi, pure di artigianato francescano, ornano la chiesa attigua.

Vanno inoltre segnalati dei manufatti di arte popolare che spesso passano sotto silenzio o sono stati abbandonati... e forse per questo si sono salvati.

Ricordiamone alcuni conservati presso il Museo diocesano di Vallo: i 14 pannelli (cm. 50 x 62) di una Via Crucis, olio su tela, del XVIII secolo; una croce astile in argento, proveniente dalla cattedrale, opera di un artigiano locale del XVI secolo; un tabernacolo in legno di noce intarsiato e intagliato e una croce in legno, avorio e madreperla di artigianato francescano del secolo scorso.

A Sessa Cilento abbiamo anche rinvenuto, in una dimora privata, una statuetta in gesso policromo che raffigura la Madonna della Stella, probabilmente del XV secolo; il proprietario ci ha narrato di averla recuperata in una discarica ove era stata buttata durante i lavori della chiesa parrocchiale negli anni Settanta. La statuetta, elementare nelle linee, è alta appena 70 cm., è raffigurata come in trono e regge con la destra il Bambino in piedi e nudo, mentre con la sinistra gli accarezza la gamba. Questo tipo di iconografia doveva essere predominante nelle nostre chiese (unitamente a quella delle statue in malta policroma inasportabili e quelle in terracotta) almeno fino al primo dopoguerra quando, approfittando del denaro che il Governo metteva a disposizione per la ristrutturazione, molti parroci fecero letteralmente cambiare volto agli edifici sacri, preoccupati solo di abbellire cancellando il "vecchio".

A Celso, sopravvissuta miracolosamente all'insensata distruzione di una cappella gentilizia, troviamo, in casa di privati, una bellissima lastra marmorea della Madonna di Loreto (XVI sec.) voluta dalla famiglia De Verdutiis.

Altri elementi di arte popolare li possiamo individuare nelle "riggiole" per pavimenti, certamente di importazione vietrese, ma indicative per il gusto che si andava creando qui nella provincia; ne sono rimaste di meravigliose nella basilica di Castellabate, nella cappella del convento francescano a Gioi, nella vecchia chiesa dei SS. Pietro e Paolo a Stio, nella chiesa parrocchiale a San Mauro Cilento, nel refettorio del Convento di S. Maria della Pietà a Vatolla, datate, queste ultime, 1741.

Interessante è anche la "croce espiatoria" in pietra del campanile della Collegiata di Laurino.

Una nota a parte va agli altari di pietra e malta policroma. Ne son rimaste pochissime testimonianze: tra queste citiamo quello della cappella dello Spirito Santo a San Mauro Cilento, di recente restaurata, che reca la data 1721, e quello del Rosario a Perdifumo.

Interessanti appaiono anche gli altari di legno scolpito e dorato: citiamo fra tutti quello monumentale della Collegiata di Laurino, della cappella del Rosario nella stessa chiesa, e quello della cappella del convento di S. Antonio, pure a Laurino, sul quale ancora si possono osservare due teche che custodivano un tempo delle reliquie, poste ai due estremi e che chiudono a mò di architrave gli ingressi del coro ligneo.

 a cura di Amedeo La Greca

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