Tradizioni orali e vita quotidiana

Tradizioni orali e vita quotidiana

il Cilento nei dettagli

Tra gli studiosi che si sono occupati e si occupano del Cilento, a vari livelli, molti si sono dedicati allo studio del folklore, procedendo alla raccolta, dal vivo, con vari mezzi (taccuino, registratore, telecamera), di canti popolari, canzoni cilentane tradizionali, "cunti", fiabe, ecc.

Di solito, "i documenti" così registrati sono isolati, a sé stanti. Il ricercatore omette però di osservare come questi documenti siano estrapolati da un "continuum", da un contesto discorsivo più ampio, fatto di parole, dialoghi, narrazioni non fiabesche e interazioni con i presenti. Tale contesto è stato escluso a priori, spegnendo il registratore. Ma dove comincia e dove finisce un canto, una recita in versi, una fiaba, una narrazione? Una ricerca più approfondita esige di andare oltre, analizzando la personalità dei narratori, la loro esperienza, la loro visione del mondo. Vi è quindi un altro modo di raccogliere fiabe, o meglio, più esattamente, testimonianze della cultura popolare.

Secondo Aurora Milillo (Narrativa di tradizione orale. Studi e ricerche, Roma, Bulzoni, 1977, pp. 62-65), il ricercatore non dovrebbe fermarsi al canto, alla favola, al racconto in sé. Gli stessi narratori (e narratrici) molto spesso da un canto, una favola passano a raccontare vicende personali, esperienze vissute, come ad es. l'emigrazione in America; a volte inseriscono queste stesse esperienze nella favola, altre volte ricordano solo alcune favole, quelle che hanno qualche legame con le loro vicende personali.

Una volta stabilita la comunicazione con un "narratore" (portatore della tradizione orale), tutte le nostre distinzioni colte tra poesie, canzoni, favole, versi, racconti, storie reali e inventate, per il nostro narratore non contano: tutto fa parte della sua cultura, del suo modo di vedere il mondo; canti, fiabe e storie di vita sono collegati da "motivi organizzatori", situazioni ricorrenti identiche che danno un significato unitario a tutto il discorso.

Continuando ad approfondire questo discorso, si potrebbe anche scrivere un'altra storia, diversa da quella dei classici libri di scuola: una storia fatta di memorie, del ricordo di esperienze vissute in prima persona da appartenenti alle classi popolari, alle quali raramente viene concessa la possibilità di dare la propria versione dei fatti. Vedi ad es. le storie raccolte da Rocco Scotellaro in Contadini del Sud (Bari, Laterza, 1954).

Aurora Milillo porta l'esempio di una contadina abbruzzese, lasciata sola con nove figli dal marito, emigrato in America: la donna, fra tutte le fiabe della comunità cui appartiene, ne ricorda solo una in particolare, nella quale evidenzia motivi attinenti alla sua vicenda personale. La sua esperienza biografica ha così condizionato il ricordo del racconto, e ne è diventata "motivo organizzatore".

Ad illustrare tale modo di considerare le tradizioni orali, di seguito riportiamo uno stralcio della narrazione fattaci dalla signora Pierina Barone, di Ogliastro Cilento, nel 1982. Tra una "cilentana" e l'altra, senza chiudere il microfono del registratore, è venuta fuori una storia di vita, un fatto a lei successo in gioventù, significativo per diversi motivi. Esso testimonia il legame fra letteratura orale e vita vissuta; inoltre, attraverso le vicende della narratrice, mette in luce eloquentemente la condizione della donna cilentana, anche di famiglia più o meno abbiente, agli inizi del secolo: la dura fatica, le percosse, l'istruzione negata, il fidanzato "per corrispondenza" dall'America.

In particolare, della narratrice, troviamo il rimpianto per non aver potuto studiare ("Papà mio faceva scuola ai garzoni e a me non mi faceva scuola"). Questo motivo viene richiamato dalla signora Pierina anche all'inizio di una sua fiaba, quando dice: "C'era un re e teneva tre figli, teneva tre figli maschi e una figlia femmina. Allora prese e la fece stare a casa, prima non ci credevano a queste cose di scuola".

Inoltre, troviamo la protesta verso gli uomini da cui dipendeva la sua vita ("questi poi al mondo di prima erano pure... fetiéndi"); la protesta verso il duro lavoro cui era costretta ("Quelli i garzoni può essere che li faceva stare a spasso, e noi figlie dovevamo andare a faticare"); l'attaccamento al fidanzato lontano nonostante le minacce non solo verbali ("ppé schiattamiéndo re tant'ammenàzzi / Pur'io me l'aggia ôre i ttoi bellizzi"); il matrimonio che viene a risolvere alcuni problemi ("Era tremendo, ma ad ogni modo poi papà mio ci ha fatto sposare tutte quante, ci ha dato 15 o 16 tomoli di terra"). Ma la musica non cambia di molto, con la donna considerata come un oggetto, un possesso, del padre, del fratello, del marito ("Se l'ha pigliata mpussèsso n'autu mmano").

Riportiamo allora il testo in questione, trascritto dal dialetto in un italiano "regionale", cercando di conservare lo stile e il "sapore" dialettale.

<<Era papà mio che leggeva i libri, allora non c'erano televisioni, non c'era niente, eravamo nove figli, ci raccoglievamo vicino al fuoco la sera... Le figlie però non le ha fatte studiare, papà non le ha fatte studiare perché poi facevano le lettere all'innamorato... Io poi acchiappài un paliatóne... A me faceva scuola una cugina, mi faceva da leggere e scrivere, e invece papà mio faceva scuola ai garzoni e a me non mi faceva scuola...

Canzoni cilentane, ne so tante... Ti voglio dire quella che disse mamma mia quando sposai io, ché allora cantavano... Ora si mettono con queste cose più... così, ma allora c'era il violino, c'era l'organetto, c'era la chitarra, il mandolino... Disse mamma mia:

"Chiandài na rosa indu lu giardino
Sera e matìno me nge ia 'addunàre
La ia aracquànno sera e matìno
Rusella quannu vuoi tu spampanàre
E' spampanàta e nu nne só patróna
Se l'ha pigliata mpussèsso n'autu mmano
Chesto te rico a tini bellu mio
Vuólila bene e nu l'abbandunare"

Questa è la canzone che disse mamma... Acchiappài nu paliatóne io per dire pure una canzone, quando mio marito era all'America... Questi poi al mondo di prima erano pure... fetiéndi, era in America, non era qui che si potesse dire che... E allora questo... mi conosceva prima di partire, e dopo aver fatto il soldato se ne andò all'America, e allora pigliò e mi mandò la dichiarazione... La buonanima di papà disse che io non dovevo pigliarla quella lettera e mi fece un paliatóne, perché io poi quella lettera andai a scriverla sopra una cesta, nel locale dove facevamo seccare i fichi... Allora pigliai, voltai una cesta sottosopra e mi misi a scrivere... C'era una cognata di papà, lei dettava e io scrivevo questa lettera. Tenevo una sorella mia... quella prese e lo andò a dire a papà. Mi buscai tante di quelle bbòtte, che mi diede la sera, e tante di quelle bbòtte, che non te lo puoi immaginare. E finì così. Quando fu il giorno dopo disse: "Tu non ci stai più qua sopra", che poi veniva quella cognata e mi faceva scrivere un'altra volta, e mi mandò alla piana giù. Mi avviai e andai... Pigliai e dissi una canzone:

"Sei più bianco tu ca una carta
Chi te l'à data a ti tanta bianchezza
Scocche re rose nn'à fatto nu mazzo
Colonna carrecàta re bellezza
Quannu mme scunti ccu st'uocchi m'ammazzi
Io stao ind'a' lu ffuoco e cchiù m'attìzzi
Ppé schiattamiéndo re tant'ammenàzzi
Pur'io me l'aggia ôre i ttoi bellizzi"

Acchiappài tante di quelle bbòtte, e tante di quelle bbòtte, che alla piana giù da sopra per andarmene dovettero legarmi sopra una mula... Papà teneva un fondo, c'erano 112 tomoli di terra, me ne faceva fare più fatica e più fatica... Teneva il bifolco, teneva i garzoni che pascevano gli animali, e quelli può essere che li faceva stare a spasso, e noi figlie dovevamo andare a faticare... Era tremendo, ma ad ogni modo poi papà mio ci ha fatto sposare tutte quante, ci ha dato 15 o 16 tomoli di terra, forse di più, una ventina di tomoli di terra, c'era una vigna, c'erano ulivi, c'erano fichi, c'era tutto...>>.

a cura di Fernando La Greca
copyright: www.cilentocultura.it

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