Monastero di S. Maria di Valle Josaphat a Paola

Monastero di S. Maria di Valle Josaphat a Paola

comunemente denominato "Badia"

Il monastero di S. Maria di Valle Josaphat, comunemente denominato "Badia", non offre di primo acchito al visitatore grandi interessi a causa della semplicità architettonica dell'antico edificio. L'occhio esperto però, sa di trovarsi di fronte ad un monumento artistico, non appena si ferma ad osservare la torre, il portale della chiesa e la colonnina normanna situata a destra di chi entra nel tempietto. Se sui cartelli turistici, che guidano da più parti il visitatore alla Badia, ci fosse scritto "Monastero di S. Maria di valle Josaphat. sec. XII", interrogativi di curiosità si affaccerebbero nella mente di chi legge per la scelta inusitata di una tale denominazione. Infatti la Valle di Josaphat, situata a sud di Gerusalemme, ci porterebbe molto lontano geograficamente per cercare degli agganci o dipendenze socioculturali con la terra palestinese. Il 1° novembre del 1980 siamo stati chiamati (Ordine dei Minimi) ad operare tra la gente del luogo e non sapevamo di calpestare una terra testimone di un passato prestigioso per opera di monaci dell'ordine cavalleresco di Valle Josaphat.

Il Russo c'informa che il monastero, adesso in rovina, di S. Maria di Valle Josaphat, comunemente denominato Badia, è situato a Sud di Paola nelle vicinanze di S. Lucido. Il monastero è stato costruito dai monaci dell'ordine di S. Maria di Valle Josaphat sorto in Palestina durante le crociate con l'intento di difendere i Luoghi Santi, di curare gli ammalati e di proteggere i pellegrini che si recavano a Gerusalemme. Quest' Ordine religioso a sfondo cavalleresco e ospitaliero, originariamente composto da benedettini, finì per adottare finalità religiose quando, caduta Gerusalemme nelle mani dei Turchi, il suo scopo venne automaticamente a cessare. L' Ordine di Valle Josaphat è presente nell'Italia meridionale fin dal sec. XII, soprattutto nei domini normanni. Le principali filiali di Gerusalemme si ebbero in Sicilia e in Calabria. In Sicilia primeggiano i due monasteri di Paterno e di Messina, in Calabria quelli di Paola e di Corigliano o più precisamente di S. Mauro, rispettivamente in diocesi di Cosenza e di Rossano. Il monastero di Paola, sorto dopo quello di S. Mauro, fu un grande centro di economia agricola e commerciale. All'inizio a Paola c'erano due monasteri di Valle Josaphat, (da precisare che Paola allora era solo un casale di Fuscaldo), quello delle Fosse fu poi assorbito da quello della Badia. L'anno di fondazione del monastero della Badia dobbiamo collocarlo nei primi anni del sec. XII. Mancando le fonti letterarie e storiche, possiamo però ricostruire le vicende di questo monastero tramite i diplomi superstiti e i documenti dell'Archivio Vaticano dalle origini fino all'inizio del nostro secolo. Dei cinque documenti citiamo il più antico e il più importante.

"Il documento più antico è quello per il quale Sica, vedova di Roberto di Bubun, col figlio Umfredo, fa delle donazioni a S. Maria di Valle Josaphat nel 1110. Questo diploma è importantissimo sia per la sua priorità sugli altri sia per le donazioni fatte, che riceveranno varie conferme per circa un secolo". "Il diploma del 1110 è andato perduto, ma ne abbiamo notizia sia dalla conferma del Papa Innocenzo II° del 1140 (appena trent'anni dopo) sia quella di Ruggero II° del 18 ottobre 1144 (trentaquattro anni dopo). Ruggero II° ordinando la revisione di tutte le concessioni fatte dai suoi predecessori e intendendo confermarle, costringe il priore della Badia, Giovanni Auris Aurea a presentare al regnante il 18 ottobre del 1144 i diplomi di donazione concessi in varie epoche al monastero". trascriviamo il brano del famoso testo: "Et ostendit mihi aliam cartam latinaxn cum cerea buna scriptam anno dominice incarnationis MCX, mense aprilis indictionis III, per quam,.Sica, quae fuerat uxor Robberti de Bubun, una cum (ilio suo Umfredo dedérat ecclesiae S. Mariae Josaphat monasterium S. Michelis Arcangeli, quos est fundatum intra fines Fuscaldi...". Da queste brevi informazioni deduciamo che i monaci di allora portarono un grande sviluppo nel territorio, risollevando le sorti di gente priva di esperienze in materia d'economia e di progetti lungimiranti.

Se pensiamo, per esempio, che il monastero nel 1524 pagò alla S. Sede la decima di un'oncia d' oro, mentre S. Vincenzo 15 tarì e S. Michele di Fuscaldo 3 tarì, ci rendiamo conto della prosperità raggiunta dall''Abbazia; e che dire poi delle innumerevoli donazioni fatte ai monaci e dei numerosi monasteri dipendenti dalla Badia. Tutte queste notizie, lette e studiate con gusto, brancolando tra le superstiti carte del passato, accrebbero la nostra responsabilità di operatori nella zona. E' qui che abbiamo, tentato, finche abbiamo potuto operare a tempo pieno, nuove forme di catecumenato antico, ripristinando genuini atteggiamenti delle prime comunità cristiane. E' merito della gente che, pur versando in grave indigenza si è fatta carico di rispettare, custodire e restaurare (... non, sempre secondo i canoni della sovrintendenza alle belle arti).

testo a cura di Padre Casimiro Maio


L'antica torre

A ridosso di un folto bosco di pini silvestri, a sud di Paola, esiste un'abbazia del secolo XII conosciuta anticamente con il nome di S. Maria di Valle Josaphat detta anche delle Fosse. Un antico complesso che trova la sua importanza nei risvolti storici legati allo spopolamento dell'ordine religioso dei benedettini a sfondo cavalleresco operante in Terra Santa. Questo Ordine religioso emigrò in terra sicula e calabra quando, caduta Gerusalemme nelle mani dei Turchi, non trovò continuità e sicurezza in Palestina. Questi monaci trovarono nel lembo di terra paolana un'oasi e, in quella selvaggia contrada costruirono il loro cenobio. La Chiesa ancora oggi esistente, risalente al 1110, chiamò a raccolta un lungo seguito di contadini i quali costruirono le loro rudi abitazioni tutto intorno a quella casa monastica. In poco tempo il territorio circostante si trasformò in un villaggio agricolo. Questo convento, operando un radicale mutamento, raccolse attorno a sé centinaia di persone le quali trovarono lavoro e sostentamento dalle proprietà dei monaci e in più una valente protezione a difesa entro le mura. Le terre, un tempo incolte e selvagge, si popolarono di armenti e greggi, mentre i colli si ricoprirono di vigneti e uliveti. Il cenobio a seguito di questo progresso, divenne un relativo centro di cultura religiosa, intellettuale ed economico, assolvendo pienamente alla funzione di guida, importantissima per la vita sociale della comunità. Unendo alla preghiera il lavoro, i monaci fecero fiorire quel luogo attraverso una vita comunitaria associata e quindi contraria ad ogni tendenza anarcoide e asociale. D'altra parte gli stessi abitanti si prodigarono affinché l'abbazia fosse "il centro di luce in mezzo alla tenebra circostante". Il progresso fu tale che la comunità raggiunse con i suoi 392 abitanti il massimo splendore intorno alla fine del sec. XIV. La ricchezza diligentemente operata sin dal 1100 non poteva però essere lasciata senza sicurezza. Per tale motivo costruirono una torre a ridosso delle mura di cinta che potesse servire a proteggerli in caso di pericolo. Vista l'intraprendenza e la tendenza di questi monaci a fare tutto da sé, si può dedurre che il progetto e la messa in opera dell'abbazia fu operata da loro stessi. La torre a pianta quadrata è costituita da una stanza al piano terra, un tempo adibita a stalla o magazzino e da due piani accessibili da una scala interna. La stanza del primo piano, certamente la più spaziosa e più accogliente, è illuminata da due finestre in tufo, che ci ricordano con le loro caratteristiche interne, di essere in presenza di strutture che richiamano il nuovo medioevo. Dallo stesso pianerottolo di accesso a questo vano, seminascosta in un angolo, una bassa porta conduce attraverso una suggestiva scala a chiocciola al piano superiore. I quarantasette gradini che la compongono, sono molto asimmetrici; scolpiti in arenaria sono illuminati a tratti dalla fioca luce delle lucerne. La scala assomiglia a quella esistente nel campanile del duomo dell'Annunziata e a quella semidistrutta del torrione del castello di Paola. Da una stessa porta si accede, a metà scala della rampa, all'unica stanza del secondo piano. L'interno, illuminato da una stretta finestra, lascia capire la secondaria importanza del vano. Il soffitto a crociera, perfettamente allineato alla tipica struttura del suo secolo, lo rende in un certo senso armonioso. Qui le caratteristiche di lavorazione, attraverso l'impiego del tufo è particolarmente evidente. Dalla stessa scala chiocciola, salendo altri pochi gradini, si arriva in cima al terrazzo.

Questo, un tempo cinto di mura, conserva parte della primitiva costruzione.
Il territorio circostante, visto dalla sommità di questa torre, si controllava con una certa facilità, considerato anche lo spazio che si domina da lassù. La struttura complessiva della torre, composta di malta e tanto tufo, si accosta per le caratteristiche di impiego, alle torri cavalare del sec. XVI. Questo bastione servì a difendere monaci e abitanti del posto dalle schiere di armati che passavano attraverso il territorio di Paola. L'Abbazia rappresentò anche un punto di riferimento per mercanti, nobili, damigelle e mendicanti che seguivano un vecchio sentiero che conduceva a Montalto e Cosenza. Per il rapido moltiplicarsi delle donazioni l'abbazia fiorì notevolmente raggiungendo, come già detto il suo massimo splendore intorno al secolo XIV. Fra le diverse donazioni ricordiamo quelle più sostanziose elargite dalla nobile Sica, moglie di Roberto di Bubum signore di Fuscaldo, confermata dal papa Innocenzo II° il 18 maggio 1140 e dal re normanno Ruggero II° il 18 ottobre 1144, e quella del gentiluomo Umfredo di Fuscaldo.

Con lo sbarco delle truppe aragonesi sulla spiaggia di Paola inizia il brusco declino dell'abbazia. Il 14 febbraio 1283 il re Pietro d'Aragona, in lotta contro gli Angioini per il dominio del Sud, sbarcò in quel tratto di costa. Alla guida di quel poderoso esercito troviamo nientemeno che l'ammiraglio Ruggero di Lauria, esperto nell'arte della guerra. Nella gran confusione che ne seguì e per timore di essere sopraffatti, gli abitanti della contrada Fosse si trincerarono insieme agli abitanti delle contrade limitrofe nel castello del casale Paulae. Di là attesero sgomenti lo sbarco delle truppe aragonesi, ma per ovviare al pericolo di rimanere vittime di altri colpi di mano, gran parte degli abitanti scelse di rimanere ad abitare attorno al castello. Parte degli abitanti della contrada Fosse non dovettero tornare indietro, scombussolando gli equilibri che ruotavano intorno all'abbazia. Per il sacro luogo ebbe inizio un inesorabile declino, nonostante il prodigarsi degli ultimi abitanti e il coadiuvamento dei monaci. La torre, nonostante il relativo abbandono, rimase in una posizione di mezza forza, seguendo le sorti di una seconda storia, forse meno fortunata della prima, ma ugualmente apprezzabile per essere raccontata in una successiva occasione.

testo a cura di Giovanni Panaro

da www. comune.paola.cs.it

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