Franco Borghi: l'ultimo dei mugnai

Franco Borghi: l'ultimo dei mugnai

si incontra con il viaggiatore Rossi Roberto

La seconda parte di questo itinerario lungo la Strada dei Mulini è dedicato al racconto e alle storie dei protagonisti di quei tempi e di questi luoghi. Per conoscere la tradizione da chi l’ha vissuta dentro, per conoscerne le abitudini, perché si possa comprendere meglio cosa rappresentano questi semplici edifici, per capire di cosa ci parlano. Possiamo così visitare un mulino e con la fantasia immaginare la pala che si muove azionata dall’acqua che scorre, quasi possiamo sentire il rumore metallico, e le voci delle donne e degli uomini che attorno lavorano uniti e coesi. E instancabili. - Noi il lavoro non ci ha mai fatto paura - sono le prime parole di Franco Borghi, per noi e per la gente del posto, l’ultimo dei mugnai. Sono andato a casa sua, a Trevozzo, ad ascoltarlo e a farmi raccontare, curioso come sempre, i suoi ricordi, che sono tanti e ancora vivi nella sua memoria. Riporto di seguito alcuni passaggi dell’intervista che ho mantenuto autentica nelle parole e nei termini, perché fanno parte del calore e della passione del suo racconto. La percezione che rimane, dopo la chiacchierata con Franco, è principalmente la seguente: questo territorio compreso tra i comuni di Pianello, Nibbiano, Caminata e Pecorara non è immaginabile disgiunto dai suoi mulini, ma ne sono parte integrante, essenziale. - Ogni 3/400 metri c’era un mulino - riprende Franco - tante famiglie ne avevano uno, ma si andava tutti d’accordo. Sarà stato subito dopo la guerra (anni ’30 nda) che si usava ritrovarci tutti attorno ad un tavolo di una trattoria che c’era qui a Pianello (…), ed eravamo in 76 (e mi fa più o meno tutti i nomi… nda) noi che lavoravamo attorno ai mulini, che erano invece 20 o 21.- Racconta poi che, in questa zona, lungo il corso del Tidone c’era una chiusa - per convogliare l’acqua che serviva ad azionare la pala dei mulini. Capitava, non raramente, che la piena del Tidone portasse giù grossi rami, ferrivecchi, pietre, insomma ogni cosa… e la chiusa si danneggiava, così bisognava organizzare una spedizione per andare a sistemarla. Arrivati in 7/8 o 10 tiravamo via tutto quello che c’era, ma mica con ruspe o roba del genere, tutto a mano, con l’aiuto dei nostri muli e cavalli.- Di tanto in tanto Franco si volta a guardare il figlio Fausto, appoggiato alla parete che ascolta con un interesse tale che mi colpisce; mi dice allora Fausto che per scrivere quel libro che mi aveva appena donato, una bella pubblicazione “Mugnai e mulini della Val Tidone”, aveva dovuto penare non poco per convincere papà a raccontargli e a spiegargli tutto quello che ora stava riportando a me con una tranquillità ed una loquacità estrema. Dall’alto dei suoi 79 anni Franco è una persona serena, cresciuta tra lavoro e famiglia, non di certo in cerca di popolarità e celebrità, ma con lo spirito di un ragazzino mi parla come per dire “è bene che tu sappia…” e riesce così a trasferirmi, perfettamente, quelli che erano gli umori e i sentimenti della gente a quel tempo. Anche quanto era forte il senso di appartenenza al proprio nucleo familiare, uno spirito di corpo che teneva uniti tutti, anziani e giovani, donne e uomini, per condividere sia le difficoltà che i momenti di gioia. - I mulini rappresentavano l’economia principale di queste zone - riprende Franco – e il ricavato della trasformazione di grano in farina andava ad alimentare gli animali e i maiali che poi venivano venduti o barattati con altri beni primari. - Continua nel suo racconto e, in maniera precisa e dettagliata, mi spiega quanto era importante il lavoro delle donne di famiglia, le quali erano anche a capo dell’economia della casa. Con l’intercalare sempre più frequente – il lavoro non era fatica – Franco continua – non c’era mica il giorno o la notte, si continuava quando c’era da macinare il grano per giorni a fila, senza mai fermarsi, si facevano 15 ore e anche di più, dei turni lunghi io, mio papà, i miei fratelli, ma anche mia mamma e le altre donne di famiglia; e si, perché bisognava sfruttare l’acqua finchè c’era, producevamo circa un quintale di farina all’ora. - La piacevole chiacchierata Franco la vuole terminare con una risata, ricordando un episodio che lo riporta indietro di settant’anni, quand’era proprio piccino, un piccolo bimbo. – Sarà stato il ’37 o il ’38 – attacca – ed era caduta molta neve quella notte; la strada andava pulita, doveva consentire il passaggio almeno di un carretto. Mio papà mi dice “vai tu Franchino”, prendo lo spazzaneve, praticamente una pala grande trainata da due buoi e monto su uno di loro. Esco a spianare la strada quando arrivato in loc. Cantone arriva una bella macchina, che a quel tempo non se ne vedevano tante, una bella Balilla che trasportava due sposi. Uno dei miei muli al rombo della Balilla prese paura e reagì sbattendo la pala a destra e sinistra finchè non andò a sbattere contro il paraurti della macchina portandoglielo via!!! …mamma mia, dissi, e adesso chi ci torna a casa, chi lo dice con papà. Poi fu nonna a pagare il danno e quando seppe che doveva sborsare 12 lire ancora un po le viene un mancamento!!! – Franco ride di gusto, coinvolgendoci tutti, anche il figlio Fausto ancora leggermente esterrefatto della performance di papà Franco, un papà forte e vispo, che ringrazio e saluto con un abbraccio.

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da La Cronaca
Roberto Rossi

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